Per festeggiare i tre mesi dalla pubblicazione di Bad Girl, ancora in classifica Amazon da quest' estate, Karen Waves ha giocato con la Studentessa e il Potatore e ha scritto due scene extra basate su due prompt proposti da altrettante lettrici: come la sottoscritta sostenitrici sfegatate della storia d' amore travagliata, dolcissima e divertente tra Valentina e Won-ho. La prima di queste scene, con grandissimo piacere e onore la postiamo noi qui sotto; la seconda, ancora in stesura, vedrà protagonisti oppa e Won-ho, e verrà pubblicata da un altro blog. Nelle intenzioni di Karen, questa dovrebbe
essere una scena cute e molto zuccherosa tra Vale e Won-ho: io credo le sia riuscita perfettamente!
E più leggo Karen, più sono convinta che la saga busanoveneta potrebbe attraversare decenni come Beautiful, senza stancare mai i suoi affezionati lettori! Buon divertimento!
Come a Busan
Won-ho
era in ritardo. Valentina aveva controllato l’orologio più o meno ogni trenta secondi e si era
preparata per partire appena lui fosse giunto.
Da Marsango a Cavino erano otto chilometri. Valentina
aveva già fame, e se volevano arrivare a destinazione prima che il suo drago
interiore si svegliasse – e in mancanza d’altro avrebbe potuto mangiare
direttamente Won-ho – dovevano sbrigarsi.
Aveva le biciclette, il portafoglio, gli occhiali da sole
e una chiara mappa mentale di dove stavano andando. Aveva deciso che gusti
avrebbe preso, e poteva quasi sentirseli in bocca: fragola che si sarebbe
sciolta con
quel misto speciale di dolcezza e asprezza e cioccolato sulla punta della lingua. A questo
punto voleva soltanto che il suo potatore si presentasse e non le facesse
perdere altro tempo.
Ma passarono quindici minuti, poi venti, e le dita di
Valentina si strinsero attorno al cellulare. No, non avrebbe chiamato. Doveva
esserci senz’altro un’ottima ragione per cui Won-ho non era ancora a casa l’unico
giorno in cui lei non doveva andare al lavoro. Un incendio, per esempio. Una
rivolta civile. Un atto di Dio. Valentina era ragionevole e avrebbe senz’altro
accettato una spiegazione valida come quella.
Quando finalmente sentì il motore rachitico del pick-up
avvicinarsi, si preparò con estrema calma a riceverla.
“Kwon.”
“Bisello.”
Won-ho scese e Valentina aprì la bocca per prendere fiato
e formulare il preciso, fermo “allora?” con cui avrebbe aperto la discussione.
Valentina aprì la bocca. Guardò Won-ho. La chiuse.
Won-ho alzò gli occhi. Sotto le lunghe palpebre c’erano
quelle ombre che le abitavano sempre, ma questa volta accompagnate da archi
viola di una stanchezza che si leggeva anche nelle spalle abbassate, le braccia
sciolte, gli angoli intristiti delle labbra.
“Lo so,” le disse, “Sono in ritardo. Possiamo andare
subito.”
La sua voce era tranquilla. Piana. Senza sarcasmo, senza
sfida, senza cattiveria. E Valentina si spaventò.
“Won-ho,” chiese, allarmata, “È successo qualcosa?”
“No.”
“Won-ho, non dire cazzate.”
“Non è successo nulla.”
“Sei stanco.”
“No.”
“Sì.”
“Taci.”
Lui si voltò per chiudere la macchina e Valentina notò i tagli sulle braccia che le
dicevano che, qualsiasi lavoro avesse fatto oggi, era stato molto duro.
“Won-ho,” gli posò una mano sulla spalla, esitando prima
di accarezzargli la scapola, “Possiamo stare a casa.”
Won-ho la esaminò a lungo, l’espressione corrucciata, il
naso a un centimetro dal suo.
“Valentina.”
“Dimmi.”
“Ti senti poco bene?”
Valentina sbottò.
“Che c’è?”
“Rinunceresti al gelato?”
“Volevo essere carina. Non ti meriti nulla.”
Won-ho sorrise. “Forse. Sali in macchina.”
“Eh?”
“Sali.”
“Perché?”
“Sono troppo stanco per pedalare, ma se andiamo col
pick-up ci mettiamo dieci minuti.”
“Fai pure un quarto d’ora, con quel catorcio.”
Ma Valentina salì nel pick-up che gli aveva dato
l’azienda agricola senza protestare ancora. Won-ho si sedette al volante, e lei
gli sfiorò la coscia con la punta delle dita.
“Come a Busan,” disse, tenendo gli occhi sul cruscotto per
negare la leggerezza tenera delle parole, e Won-ho le posò le labbra morbide
sul polso.
“Come a Busan,” le fece eco mentre partiva, e nella
serata mite di settembre la campagna scivolava via intorno a loro.
“Niente mare però,” si lamentò lui, e Valentina gli tirò
uno scappellotto.
“Se volevi il mare stavi a casa tua.”
“Se avessi voluto il mare, saresti rimasto a
casa tua…” la corresse.
“Kwon, vuoi morire?”
“Chi è laureato in lingua e letteratura italiana, qui?”
“Una laurea presa coi punti del supermercato.”
“Con il massimo dei voti, ricordatelo.”
“Pensa alla strada.”
E dodici minuti dopo stavano parcheggiando.
“Aspettami al giardinetto.”
“Bisello, mettermi a digiuno per non aver fatto un giro
in bici è troppo persino per te.”
“Kwon, essere gentili è un’impresa quando ti ci metti.”
“Vorresti portarmi il gelato?”
“No. Mi sto liberando della tua presenza molesta per un
po’.”
Con il sorriso storto che le diceva che non le credeva
affatto, Won-ho si allontanò.
Stupido potatore.
Quando riemerse dalla gelateria con due coni, Valentina
lo vide da lontano: seduto su una panchina con quella nube di disagio che
sembrava circondarlo, a volte, quando non aveva un lavoro per le mani, o un
libro sotto gli occhi. Lo guardò – chino in avanti, i gomiti sulle ginocchia,
le mani sotto il mento – e sentì il battito più veloce del suo non-cuore che lo
accoglieva come un saluto.
Non dirgli quello che provava era più difficile del
solito, e rimediò apostrofandolo col consueto affetto.
“Stupido potatore.” Gli porse il cono. “Dovevamo pedalare
e consumare calorie.”
“Io ho smaltito lavorando. Sei tu che fai ancora la
studentessa pigra.”
“Te lo spalmo sui capelli, il gelato.”
“Valentina.”
“Sì.”
“Tregua.”
Mai, voleva dirgli, ma le aveva messo una mano sulla vita,
l’aveva tirata a sé e sedendoglisi sulle cosce Valentina sentì il petto ampio
di lui dietro la schiena, il cuore che batteva forte e regolare. Chiuse gli
occhi. Fragola e cioccolato nella bocca, quel suono e quella forza intorno.
“Won-ho.”
“Valentina.”
Mangiarono nel silenzio rilassato, complice di chi non ha
bisogno di riempirlo.
“Dammi il tovagliolo, vado a buttarlo,” si offrì Won-ho.
“Hai riposato abbastanza?”
“Non voglio farti stancare, hai portato due gelati
pesanti.”
E prima che potesse ribattere, le aveva rubato il
tovagliolo appiccicoso e si era avviato verso il cestino dell’immondizia. Valentina
lo osservò camminare oltre la fontanella, i passi lunghi, la maglietta
semplice, e mentre tornava questa volta non distolse gli occhi, perché il
colore del giorno ormai quasi finito, il profumo dell’aria erano gentili abbastanza
da toccare anche lei.
“Vieni qui” ordinò.
“Perché?”
“Voglio fare la studentessa pigra.”
Won-ho le si sedette accanto e lei gli si accoccolò a
fianco. Lo prese tra le braccia e lui la osservò scettico, un sopracciglio
inarcato, ma Valentina gli posò una mano dietro la nuca.
“Sei uno stupido potatore, ma hai un bel nasino,” mormorò
strofinandoci contro la punta del suo.
“Solo il naso?” le chiese Won-ho, carezzandole la
schiena.
“Ora non ti allargare. Anche se questa bocca, devo dire,
è tollerabile,” gli concesse, disegnando i contorni delle sue labbra con
l’indice.
“Come i tuoi capelli d’estate,” le disse Won-ho
arrotolandosene una ciocca tra le dita, “Non li tagliare più.”
“Me lo proibisci?”
“Sì, mi piacciono. Come questi tuoi occhi a mandorla,”
aggiunse baciandole le palpebre, “Dovevi per forza venire in Corea.”
“A cercare un forte uomo di Busan?”
“A cercare me,” le rispose fermo, racchiudendole la
guancia nella curva del palmo.
“E ora che ti ho trovato?”
“Mi tieni.”
E qualsiasi obiezione volesse presentare Valentina, la
bocca di Won-ho sulla sua la distrusse sul nascere.
“Non puoi sempre zittirmi così.”
“Sì, invece.”
Con il tocco leggero di un bacio. Con i denti che le
sfioravano la pelle, affondavano appena nel labbro inferiore.
“Potatore, che facciamo, pomiciamo nel parco come due
ragazzini?”
“Che significa? Non conosco questa parola.”
“Aspetta che te la spiego.”
Questa volta fu lei a impedirgli di parlare, e Won-ho non
protestò, lasciando che lo attirasse a sé. E Valentina si stupiva sempre di
quanto passasse veloce il tempo se a scandirlo era solo il pulsare lento del
suo sangue mentre erano insieme. Quando si guardò di nuovo intorno era quasi
buio, e i lampioni cominciavano ad accendersi.
“Dovremmo tornare a casa.”
“Sì.”
La baciò un’ultima volta e Valentina, chiudendo gli
occhi, si domandò come sarebbe stata la sua vita se avesse ascoltato la signora
madre, e non fosse mai andata per un anno in Corea. Intrecciò le dita a quelle
di Won-ho, e si avviarono alla macchina mentre una fitta nel petto le
rispondeva.
La vita se non avesse conosciuto Won-ho.
Si portò le nocche di lui al volto, ne sentì la durezza
contro la guancia.
Diversa. E non così bella, forse.
“Won-ho-ah.”
Si voltò verso di lei nella penombra del parcheggio e
Valentina lo spinse sulla portiera del pick-up. In momenti come questo, momenti
di cui non gli avrebbe parlato, amava il fatto che fosse alto quanto lei:
perché le sue labbra lo trovavano senza sforzo, e il suo corpo si adattava a
quello di lui, ne riconosceva il contorno, il sapore, la consistenza.
“Ai…” le sussurrò sulla bocca, tenendola con la passione quieta che
poteva scioglierle le ginocchia come neve.
“Torniamo a casa,” gli disse, quasi una supplica, perché
le sembrava intollerabile farsi vedere così, anche nell’oscurità di un
parcheggio.
Won-ho le rise sul volto, quella risata di gola che gli
apparteneva, e che ora che erano così vicini echeggiava dentro Valentina.
“Sono stanco stasera, Bisello.”
“Non farti venire strane idee. Voglio solo tenerti
stretto, Kwon.”
“E perché?”
“Perché mi piaci.”
Sapeva dirglielo soltanto al buio. E lo stupore di Won-ho
durò solo un secondo.
“Mi piaci anche tu, Bisello.”
In macchina gli posò la mano sulla spalla, una carezza
ferma per tutto il viaggio. Rientrarono a casa e lui la prese in braccio. Senza
neanche accendere la luce, la portò al materasso sul quale dormivano per terra
e ce la sdraiò con cura.
“Sono stanco, Valentina.”
“Non importa, Won-ho.”
Era vero. Si spogliarono a vicenda, e l’unico suono era
quello del loro silenzio, dell’emozione per una volta gentile che si
respiravano sulla pelle mentre si stendevano sotto le lenzuola.
Voglio solo tenerti stretto, nel buio, nella nostra casa,
mentre la notte comincia oltre la finestra e la guardiamo passare, insieme.
N.d.A. In coreano Ai significa “bambina” ed è usato anche come vezzeggiativo particolarmente affettuoso.
Piccolo promemoria su Karen Waves
La serie La studentessa e il potatore
Bad Girl ( Spin-off, recensione QUI)
1. Le cesoie di Busan ( recensione QUI )
2. Il titolista di Bassano ( recensione QUI)
3. (????) Titolo segreto.Work in progress
L' Autrice
Karen Waves è nata a Vicenza, ma vive a Padova dove studia lingue moderne all’Università. Nella vita reale è accompagnata da un fidanzato paziente e un gatto assassino, mentre in quella immaginaria da un potatore coreano e dalla sua simpatica “morosa” veneta.
Scrivere è sempre stata la sua passione e come ispirazione ha avuto tre grandi amori: la Corea, le storie romantiche e gli alberi.
Il suo esordio, Le cesoie di Busan, sta convincendo schiere di lettrici della bellezza virile che si può trovare in Asia. Inoltre da pochi mesi ha pubblicato anche Bad girl, una novella con gli stessi protagonisti della serie La studentessa e il potatore, scaricabile gratuitamente da tutti gli store online.
Contatti:
Il blog ufficiale: www.karenwaves.blogs
Facebook: www.facebook.com/karenwaves
Wattpad: www.wattpad.com/user/karenwaves93
Instagram: www.instagram.com/karenwaves/
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