In un giorno di maggio del 1996, Beck Weathers ha visto la morte in faccia. Per un attimo forse è davvero morto, arrendendosi al caldo tepore dell’abbandono, poi una fiamma si è riaccesa in lui, una spinta potente che, ignorando le leggi della medicina, lo ha rimesso in piedi, ha fatto si che il suo corpo riprendesse a muoversi e lo ha portato verso la salvezza, verso una nuova vita, sia interiore che materiale. Quel giorno, il 10 maggio 1996, a più di ottomila metri d’altezza, ad un soffio dalla vetta del monte più alto del mondo, una tempesta assassina ha ucciso molti uomini tra i quali Beck Weathers, ma a differenza degli altri a lui è stata data una seconda opportunità. Un miracolo gli ha permesso di sopravvivere, di tornare a casa e di scoprire cosa realmente conta nella vita.
A un soffio dalla fine è la sua testimonianza.
A UN SOFFIO DALLA FINE
Beck Weathers e Stephen G. Michaud
Traduzione a cura di Adria FrancescaTissoni
Casa editrice: Corbaccio
Collana: Exploit
Genere: Documenti
Pagine: 252
Prezzo: 18.00€
Ebook: 11.99€
Trama
Nel maggio 1996 Beck Weathers si trova con altri alpinisti sotto la vetta dell’Everest, quando sulla montagna si scatena una terribile tormenta di neve. Nove sono le vittime di questa immane tragedia raccontata da Jon Krakauer in Aria sottile, ma a una di esse, Beck Weathers, viene data una seconda chance. Arrivato in condizioni disperate al campo base, cieco, ricoperto interamente di ghiaccio, viene abbandonato dai suoi compagni che a loro volta tentano di mettersi in salvo. Solo la moglie non si arrende a quello che appare un destino segnato, e organizza una rischiosissima missione di salvataggio… A un soffio dalla fine, ripubblicato con una nuova prefazione dell’autore a quindici anni dalla prima edizione, non è solo la storia incredibile di una spedizione drammatica, in cui morirono otto uomini, ma è anche la testimonianza emozionante e commovente di un sopravvissuto che ha saputo vedere la realtà che lo circonda, la famiglia, gli amici, la vita di tutti i giorni, con occhi nuovi.
Opinione di Sybil
Non chiedetemi il perché di questa mia smodata passione per le storie di montagna, non saprei davvero darvi una risposta. I miei genitori hanno da sempre amato solo il mare e io, sin da bambina, mi sono adattata alle loro esigenze. Da adulta il massimo che posso aver fatto in montagna è stata qualche sciata e un percorso trekking per principianti al Lago di Garda. Niente avventure ad alta quota, niente esperienze al limite della sopravvivenza. Nonostante ciò, quando sento parlare di montagna e imprese impossibili o quanto meno indiscutibilmente difficoltose come scalare l’Everest, mi si drizzano le orecchie. Ragionandoci, forse ad attrarmi più di tutto è il legame primordiale dell’uomo con le sfide, contrasti interiori che poi si snodano al di fuori della persona, insinuandosi nel mondo che lo circonda. E quello che più mi affascina e allo stesso tempo mi lascia allibita è ciò che l’uomo è disposto a fare, a perdere, per assaltare la montagna che ha dentro di se. Perché è di questo che stiamo parlando, della montagna interiore, dell’ostacolo che diventa sia blocco che spinta, sia negazione che spirito vitale. Nel caso di Beck Weathers, l’autore del libro testimonianza della tragedia avvenuta nel 1996 sul monte Everest e del suo ritorno alla vita, l’alpinismo è stato espressione della sua interiorità. Colto da una terribile depressione, che lo aveva ridotto allo spettro di se stesso, Beck scoprì che scalando montagne riusciva in egual modo a svalicare il promontorio della sua malattia, arrivare in vetta gli permetteva di sentirsi libero, di tornare a vivere. Questa è stata la sua sfida, ma anche la sua condanna perché lo ha spinto a cercare la felicità in posti lontani e al limite della sopravvivenza, costringendo le persone che aveva accanto a vivere nell'angoscia e nel terrore. Questo anche è un aspetto che ci tengo molto a sottolineare, ovvero che questi tipi di passioni, che poi inevitabilmente si trasformano e diventano ossessioni, sono delle vere e proprie forme di egoismo, mezzi che fanno a pezzi le persone che ne vengono indirettamente coinvolte. La famiglia di Beck, la moglie, i figli, tutti hanno perso un pezzetto di se in ogni montagna che il tenace patologo del Texas ha scalato e in quel lontano maggio del 1996 hanno perso e ritrovato tutto, nel punto più alto della terra.
A un soffio dalla fine è il libro che Beck ha scritto dopo il suo ritorno dall'Everest, con l’aiuto di Stephen G. Michaud che si è occupato di riportare tutte le altre voci della storia. In questo libro non si descrive solo la terribile tragedia nella quale il 10 maggio 1996 persero la vita molti alpinisti, ma si parla anche di quello che ha spinto Beck a voler tentare l’assalto del tetto del mondo e di cosa è successo dopo, quando, dato per morto per ben due volte, è riuscito a tornare a casa, dalla sua famiglia. Come anche lui dichiara nella prefazione, la gente si sarebbe aspettata tanto amore e tanto romanticismo da un libro che racconta la storia di un ritorno alla vita. In fondo, quando si vede la morte in faccia, entrambe le parti di una coppia sono spinte a riconsiderare la rabbia trasformandola in amore. Questo però non è ciò che accade nella vita reale, quando le ferite interiori impiegano anni a rinsavire, quando quello che si è perso rappresenta più della metà di quello che si è avuto. Immaginate la moglie di Beck, con due figli da crescere e un marito sempre in cerca della sua anima in cima a qualche montagna, con la paura di ricevere la chiamata che le avrebbe comunicato la sua morte e così per più di dieci anni, montagna dopo montagna, anno dopo anno. È estenuante. Ma quando quel giorno del 1996 arriva davvero quella chiamata, lei non riesce a crederci, non può nemmeno immaginare di aver perso il suo Beck per colpa dell’Everest. Poi accade il primo vero miracolo della loro vita e si scopre che in realtà non è davvero morto come gran parte dei membri della sua spedizione.
Ricominciare non sarà affatto facile, ne per Beck ne per tutta la sua famiglia, ma questa drammatica esperienza sarà per lui il trampolino di lancio per una metamorfosi che lo vedrà diventare l’uomo che non è mai stato, spingendolo forse a scalare la sua prima vera montagna.
A un soffio dalla fine è la testimonianza intima, realistica e non romanzata della vita di un uomo, della sua ossessione e della terribile tempesta che nel maggio del 1996 uccise alcuni alpinisti sul tetto del mondo. È l’espressione profonda dell’animo umano che si confronta ogni giorno con le proprie sfide, di qualunque natura esse siano, la quotidianità, le malattie, la sopravvivenza, il lavoro, la vita.
Ognuno di noi ha dentro di se la propria montagna. Per Beck è il bisogno di sentirsi libero dalla depressione, di sentirsi finalmente sicuro di se, per Peach, sua moglie, la montagna è Beck stesso.
Il punto è: fino a dove siamo pronti a spingerci per tentare l’assalto?
Per la prima volta in vita mia ho trovato la pace. Non cerco più di realizzarmi esteriormente, ponendomi obiettivi e mete o ricercando beni materiali. Per la prima volta in vita mia sto bene nella mia pelle. Ho cercato in tutto il mondo una fonte di appagamento, quando avrei potuto trovarla fin dall’inizio nel mio giardino. Tutto sommato, sono un uomo benedetto. E, meglio ancora, so di esserlo.
L'autore
BECK WEATHERS è un anatomopatologo che vive in Texas. È nato in Georgia nel 1946, ha una moglie e due figli. Nella sua vita ha coltivato numerosi hobby, dalla vela alla radio, ma sarà la passione per l’alpinismo a spingerlo nel 1996 a partecipare ad una spedizione sul monte Everest, esperienza che si rivelerà fatale per alcuni dei suoi compagni di viaggio. Sopravvissuto alla tempesta e dato morto per ben due volte, Weathers riuscirà a tornare a casa, mutilato, ma pronto per vivere ancora. “A un soffio dalla fine” è la sua testimonianza. STEPHEN G. MICHAUD ha curato le testimonianze della moglie, dei figli e degli amici di Weathers.
Il 24 settembre in tutte le sale cinematografiche uscirà il film Everest, tratto dalla storia di Beck Weathers e dei suoi compagni di spedizione.
Il trailer ufficiale del film
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