È strano come a volte, in un mondo di parole come il nostro, non si riescano a trovare quelle giuste capaci di offrire al lettore lo spettro completo delle emozioni provate proprio leggendo altre parole. Sembra un cane che si morde la coda lo so, un discorso contorto, ma è la pura verità.
Leggiamo una storia, la assorbiamo, le parole diventano musica, si espandono dentro di noi occupando spazi vitali, a volte fanno male, altre portano sollievo, fino a che ci ritroviamo pieni dell’essenza del romanzo, capaci solo di partorire un’emozione più grande di noi e poi, nel momento in cui cerchiamo di trasmettere a parole le sensazioni dirompenti che un gruppo di lettere ci ha risvegliato dentro, non riusciamo a trovare quelle adatte a svolgere questo compito.
Riflettendoci, credo che sia giusto così, in fondo ogni individuo vive e rielabora le emozioni che gli vengono concesse con la propria sensibilità, ma quello che mi lascia come sempre basita è la grandezza delle parole e dei pensieri, dardi infuocati in grado di creare un giro di sentimenti talmente intricato, elaborato e immenso da rimanere bloccato dentro il cuore del lettore, il quale riesce solo in parte a ridare al mondo quello che il romanzo stesso ha dato a lui.
A questo punto potete solo immaginare la potenza delle parole racchiuse nel libro di Jodi Picoult.
INTENSO COME UN RICORDO
Jodi Picoult
Traduzione a cura di Lucia Corradini Caspani
Casa editrice: Corbaccio
Collana: Narratori Corbaccio
Genere: Narrativa
Pagine: 480
Prezzo: 9.90€
Ebook: 6.99€
Trama
Sage Singer è una ragazza solitaria. Evita ogni contatto con il mondo, nasconde il proprio volto sfregiato in seguito a un incidente, si rifugia in una relazione clandestina perché le consente di non impegnarsi fino in fondo. Finché non stringe amicizia con un vecchio signore, Josef Weber. Insegnante in pensione, di origine tedesca, Weber è un filantropo benvoluto da tutti nella piccola comunità in cui vive. Ma un giorno, contando sul rapporto di stima e affetto che li lega, Weber chiede a Sage un favore molto particolare che sconvolgerà la ragazza. Scioccata, confusa, Sage non acconsente ma non può rifiutarsi di ascoltare la confessione dell’anziano amico. Weber è stato nelle SS ed era fra le guardie di Auschwitz. E la nonna di Sage è una sopravvissuta ai campi di sterminio. Come si può reagire quando si capisce che la persona che si ha di fronte incarna il male assoluto? È possibile cancellare un passato criminoso con un comportamento irreprensibile? Si ha il diritto di offrire perdono anche se non si è la vittima diretta di un’ingiustizia? E qualora Sage accogliesse la richiesta di Weber, si tratterebbe di vendetta? O di giustizia?
Opinione di Sybil
“Non so cosa ci sia nella morte che la rende così difficile. Immagino che si tratti della comunicazione a senso unico; il fatto di non poter mai chiedere alla persona amata se ha sofferto, se è difficile là dov’è adesso… sempre che sia da qualche parte.
Non è il punto e a capo che segue alla morte che non riusciamo ad affrontare, ma il punto di domanda.”
Nel romanzo di Jodi Picoult che oggi voglio condividere con voi, sono tanti i sentimenti che vengono chiamati in causa. Sullo stesso scenario si rincorrono il dolore, la perdita, l’umiliazione, il bisogno di risorgere dalle proprie ceneri, il perdono, la necessità di guardare al futuro con uno spirito migliorato e non modificato. Il concetto di base è che la vita taglia, elimina e non “copia e incolla”, priva l’individuo di parti essenziali del corpo, della mente, del cuore, lo rende schiavo delle proprie azioni, del passato che lo avvolge, dei sé, dei ma, dei perché e lo conduce in un asettico mondo di attesa e di rimorso, un circolo vizioso nel quale si entra e poi non se ne esce. Un giorno però, nonostante tutte le accortezze per tenerla lontana, arriva la luce e tutto crolla nel caos, perché in fondo fare chiarezza significa anche riaprire vecchie ferite, osservare danni e perdite causate dalla vita. Meglio rimanere nella zona d’ombra. Tutto cambia quando arriva una nuova consapevolezza: ciò che realmente conta non è quello che ci viene a mancare, ma quello che ne resta. La luce è entrata, la chiarezza ha fatto male, ma ha permesso pure di vedere l’altra sponda del fiume, la salvezza.
È davvero difficile riuscire a spiegare ciò che ho provato leggendo queste pagine. Come avrete evinto dalla trama, l’argomento trattato è molto drammatico. Si parla dell’Olocausto visto gli occhi di una ragazza diventata donna dopo essere stata deportata in un campo di concentramento, di sua nipote e di un nazista fuggito in America dopo la guerra. Tre visioni diverse, impregnate di sentimenti ed esperienze differenti, tre sensibilità dilaniate da scelte drammatiche.
Minka è la nonna di Sage ed è una sopravvissuta ai campi di sterminio. Per tutta la sua vita non ha parlato del suo passato, lo ha chiuso in un cassetto e ha buttato la chiave. La guerra le ha strappato tutto, le ha portato via la famiglia, la dignità, i sogni. Ha trasformato una ragazzina che desiderava diventare una scrittrice in una donna pronta a sopravvivere senza speranza. Il giorno in cui Sage fa amicizia con un anziano tedesco, che da anni vive nel suo paese, tutto cambia e il passato di Minka sarà destinato a tornare alla luce.
Sage è una ragazza che, come la nonna, ha perso tutto. In circostanze diverse, per motivi incomparabili, ma con lo stesso risultato: il dolore. Si è barricata dietro un muro pensando solo a quello che non ha più, convinta che sia meglio non affezionarsi a niente piuttosto che piangere la perdita. Qunado incontra Joseph ad un gruppo di sostegno, l’anziano tedesco che porta sempre con se la sua dolce cagnolina, non sa di aver di fronte un ex nazista. Da questo punto inizia la duplice essenza del romanzo. Per tutta la sua durata vedremo la realtà spaccata a metà e soprattutto esamineremo il concetto del male e del perdono. Jodi Picoult è stata eccezionale in questo, perché ha saputo dar voce al doppio che si nasconde nell’animo umano, al bisogno di perdonare il male, ma anche a quello di punirlo diventando poi come chi il male lo ha commesso. L’autrice intreccia il passato al presente, la colpa, la redenzione, la sopravvivenza, il duplice aspetto del male e il buio che lo avvolge, una spirale glaciale che inghiotte tutto e tutti riportando però al punto di partenza, scavando un solco profondo nell’anima del lettore.
Non è una lettura facile da assimilare, in quanto ci parla di eventi imperdonabili, drammatici e ingiustificabili. Con rammarico mi sono accorta di far parte di una delle ultimissime generazioni che ha avuto dei nonni in grado di raccontare il dramma della guerra e delle persecuzioni razziali e nonostante le loro preziose testimonianze, risulta quasi impossibile comprendere in pieno questa realtà. Immaginate quanto ancor più complicato sarà per le generazioni future, che non avranno nonni o bisnonni in grado di raccontare gli anni più orribili del mondo. Dimenticare sarà più facile e questo non deve essere permesso.
“Intenso come un ricordo” cerca di ricordare all’umanità che, in un tempo non molto lontano, gli uomini hanno privato altri uomini della loro dignità, compiendo un abominio, ma sottolinea anche che tutt’oggi questo continua a succedere, in altri modi, con altre implicazioni, ma con lo stesso risultato. Inutile dire che il romanzo ci presenta su di un piatto d’argento molti punti di riflessione, primo tra tutti la modalità con la quale perdonare il male e il saper riconoscere dove finisce l’uomo e inizia la bestia. Si ritorna così alla doppiezza dell’esistenza umana e come dicevo prima, al bisogno di guardare non tanto quello che ci è stato tolto, ma quello che ci è rimasto per poi ripartire da lì.
Due generazioni a confronto, una nonna e una nipote, due vite diverse, depredate in ugual misura, ma con drammi di diversa entità, un uomo che ha fatto del male e che ora, dopo settant’anni vuole morire per non sentire più dolore e un epilogo intensamente coinvolgente e inaspettato, nel quale si riscontra nuovamente la duplice essenza dell’animo umano, il tutto racchiuso in un romanzo senza tempo.
“Se dovessi chiudere tutta la tua vita in una valigia, non solo le cose utili, come i vestiti, ma anche i ricordi delle persone che hai perduto e della ragazza che sei stata un tempo, cosa porteresti con te? L’ultima fotografia di tua madre? Una regalo di compleanno della tua migliore amica, un segnalibro ricamato con le sue mani? La matrice di un biglietto del circo itinerante che era venuto in città due anni prima, quando tu e tuo padre trattenevate il fiato mentre donne coperte di lustrini volavano nell’aria e un uomo coraggioso infilava la testa tra le fauci di un leone? Li porteresti con te per sentirti a casa ovunque tu vada, o per il bisogno di ricordare da dove provieni?”
L'autrice
JODI PICOULT vive ad Hanover, New Hampshire, con il marito, i tre figli e numerosi animali domestici. Autrice di 23 romanzi pubblicati in 35 lingue e ha venduto più di 12 milioni di copie in tutto il mondo. Corbaccio ha pubblicato «La custode di mia sorella», «Il colore della neve», «Senza lasciare traccia», «Diciannove minuti», «Un nuovo battito», «La bambina di vetro», «Le case degli altri», «L'altra famiglia», «Intenso come un ricordo», «La solitudine del lupo» (recensione QUI) e, con Samantha van Leer, «Incantesimo tra le righe».
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